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Infiammazione basale e lipidomica virale: un interessante punto di vista per comprendere come sfavorire la replicazione del Coronavirus

Che cosa serve a questo virus per replicarsi e che cosa possiamo fare per sfavorirlo?

Da farmacista attenta e attiva nel corretto consiglio per un’adeguata prevenzione, questa domanda mi assillava da giorni e finalmente ieri in un illuminante webinar dedicato alle farmacie aderenti al network Lipinutragen tenuto dalla dottoressa Carla Ferreri, primo ricercatore CNR di Bologna, ho trovato la risposta che cercavo.

Ho quindi deciso di condividere questa informazione che spero sia utile per riflettere su quanto sia importante tutelarci da quelle abitudini che possono, ahimè, rendere ancora più difficile la lotta del nostro organismo contro il COVID-19 (per convenzione: Coronavirus).

Anzitutto è importante comprendere che il Coronavirus richiede, durante l’invasione del nostro organismo, non solo lo sfruttamento del nostro reticolo endoplasmatico per produrre le proteine che servono alla sua replicazione, ma anche dei lipidi (cioè dei grassi) per costruire una vescicola a doppia membrana che lo protegge e gli consente di uscire da una cellula infetta per andare ad infettare altre cellule.

Di quali lipidi ha bisogno e quanti ne abbiamo a sua disposizione nelle nostre membrane?

Al fine di procurarsi i lipidi utili, il Coronavirus utilizza il classico meccanismo della fosfolipasi A2 che, agendo come un paio di forbici, libera dalle membrane l’acido arachidonico, un grasso della famiglia omega-6 che dà origine a molte molecole infiammatorie (non a caso i farmaci cortisonici, potenti antinfiammatori, agiscono bloccando la Fosfolipasi A2). Quindi, più ricca è la nostra membrana cellulare di acido arachidonico, più alta sarà la disponibilità di questo acido grasso che noi offriamo al virus per costruire il suo involucro lipidico. Curiosamente, lavorando da diversi anni nelle Farmacie Kerix con il test di lipidomica, ho notato come le membrane di due persone su tre abbiano un livello di acido arachidonico più alto del normale. Alti livelli di acido arachidonico sono stati riscontrati in diverse patologie e quindi è una realtà il fatto che sia possibile avere un processo infiammatorio già in atto e quindi un alto livello di stress cellulare ancor prima dell’invasione virale, che poi viene sfruttata a suo vantaggio.

Ma quali sono le fonti principali di acido arachidonico? L’acido arachidonico è presente nelle nostre membrane a causa di un’eccessiva assunzione di prodotti animali che lo contengono (carne rossa, tuorlo d’uovo), ma anche a causa di un eccessivo consumo del suo precursore acido linoleico, un acido grasso essenziale presente in abbondanza negli oli vegetali come girasole, soia e mais e in alcuni tipi di carne come il pollame. Il controllo del suo livello diviene quindi possibile grazie ad un’attenta valutazione delle scelte alimentari.

Un’altra importante considerazione è lo squilibrio che ho osservato dalle analisi di lipidomica tra il livello degli omega-6 (acidi grassi pro-infiammatori) e degli omega-3 (acidi grassi antinfiammatori): una persona su due ha livelli troppo bassi di omega-3 in membrana. Questo indica la necessità di cambiare stile alimentare verso una maggiore quantità di omega-3 da alimenti specifici.

Infine, il Coronavirus predilige per i suoi scopi l’acido palmitico, un acido grasso saturo (cioè rigido, senza doppi legami) che deriva sia dalla sua assunzione attraverso la dieta, ma anche dalla spinta insulinica, quindi da un’eccessiva introduzione di carboidrati e zuccheri. Gli acidi grassi saturi sono grassi che donano rigidità alle membrane e un loro eccesso non è favorevole poichè viene persa elasticità di membrana, che è fondamentale, ad esempio, a livello delle membrane cellulari dei piccoli vasi sanguigni e degli alveoli polmonari…

In questi giorni siamo stati costretti a cambiare velocemente le nostre abitudini. Oggi, rispetto a solo pochi giorni fa, ci laviamo più spesso le mani, abbiamo sempre in borsa un gel igienizzante, ci parliamo a un metro di distanza gli uni dagli altri e quando andiamo in ambienti affollati utilizziamo la mascherina per proteggerci, ma anche per proteggere gli altri da noi stessi. Tante abitudini acquisite molto velocemente grazie al fatto che non eravamo i soli a farlo, ma tutti intorno a noi, guidati da input che arrivavano da diverse fonti, si comportavano allo stesso modo e si aspettavano questo cambiamento anche da parte nostra.

Lavorando con la nutrizione mi sono accorta che la sola forza di volontà del singolo individuo spesso non basta per produrre un cambiamento duraturo nelle sue abitudini. C’è bisogno che tutto ciò che lo circonda spinga verso il cambiamento che lui sta cercando di realizzare.

Spero quindi che da oggi, vedendo ciò che ci sta succedendo e avendo capito che l’alimentazione e i tipi di grassi assunti possono avere un ruolo fondamentale per fornire alla cellula la possibilità di combattere e non di collaborare alla diffusione del virus, ci sia un’energia collettiva che spinga tutti verso una diversa coscienza dell’effetto delle nostre abitudini alimentari al fine di utilizzare correttamente l’alimentazione come prevenzione primaria per aiutare le cellule.

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